Di Alessia D’Introno
Assia Djebar non è una portavoce, ma un’attivista vicino a e contro di. Nasce come Fatma Zohra Imalayène a Cherchell, in Algeria, da una famiglia araba. Tre lingue la accompagnano nel suo percorso da scrittrice e da filmmaker: il berbero, parlato dai suoi nonni, una lingua che vede come simbolo di resistenza, l’arabo parlato da sua mamma, e il francese, la lingua ufficiale del Paese, una lingua che definisce come imparziale nonostante sia la lingua del conquistatore. Per esempio, se non ti conoscessi, o perché sono una donna, anche se tu fossi algerino ti parlerei in francese, perché è neutro. Intendo dire che è meno familiare, meno invadente. Il neutro è impersonale e le donne devono essere molto discrete nella società araba1. Durante i tumulti del suo Paese sostiene la lotta per l’indipendenza, trovando nella storia una luce che la accompagna in tutta la sua produzione. Diffida del suo stesso governo retrogrado e conservatore, per questo inizia a trovare conforto tra le storie celate, marciando sulla narrazione delle donne algerine. Donne silenziate, nascoste dietro la propria dimora che Djebar prova a far emergere nella loro pluralità e nella loro indipendenza. Un non detto che negli anni ‘80 fa traboccare attraverso film come La Zerda ou les chants de l’oubli in cui sovverte lo sguardo sul colonizzato adoperando filmati d’archivio sulle tradizioni algerine persistenti. La colonizzazione ha fatto sprofondare il popolo algerino in un silenzio stupefacente che il rumore e la furia della sua storia, ripetuti instancabilmente, non possono colmare. Era urgente inventare le nostre immagini. Il cinema, come la letteratura e la cultura in generale, aveva un ruolo importante da svolgere in questo processo di riparazione2.
Assia Djebar, La Zelda ou les chants de l’oubli, 1982. Da PesaroFilmFest
Però è con La Nouba des femmes du Mont Chenoua, di qualche anno prima, che ottiene la riscrittura di una storia frantumata sulla donna. Wassila Tamzali scrive di lei come l’unica donna ad Algeri ad essersi resa conto già dagli anni ‘70 di quanto il Paese avesse bisogno di uno spazio femminile libero, uno spazio che la filmmaker vede passare per i muri della casa, dal velo e dal divieto di parola. Era un femminismo distante da quello bianco e francese, un movimento che non riguardava l’Algeria femminile, che non interessava perché uomini e donne volevano la stessa cosa.
Mi sono resa conto che alla donna era vietato qualsiasi rapporto con l’immagine. Se la sua immagine non può essere presa, non ne è nemmeno proprietaria. Poiché è chiusa in se stessa, guarda all’interno. Può guardare l’esterno solo se è velata, e solo con un occhio. Ho deciso allora che avrei fatto della mia macchina fotografica l’occhio della donna velata3.
Assia Djebar, La nouba des femmes du Mont Chenoua, 1977. Da Sabzian
Allora è qui che la protagonista assieme alla sua regista iniziano un percorso a ritroso tra i monti berberi alla ricerca delle “Madri” che parteciparono alla guerra d’indipendenza algerina, per ritrovare i suoni della «memoria strappata». Un film complesso, lungo e tumultuoso che porta con sé le voci delle contadine di Chenoua che, a differenza della gente di città, sono capaci di darti oceani di dolore con parole molto sobrie e asciutte… Forse perché si tratta di un dolore ripetuto, quotidiano? Allora sta a voi sentire, in qualche dettaglio della trasmissione – perché nel campo del cinema mi considero un semplice trasmettitore – il varco che si apre su altre cose. Le piccole cose sono i veri elementi della trasmissione. Attraverso piccoli frammenti – l’inflessione di una voce, le lacrime inaspettate, l’esitazione – che ti introducono nella storia vera e segreta delle persone. Anche le parole…4, spiega la regista. Per la sua fragilità e lo stile poetico il film di Djebar viene additato come un vero e proprio spreco delle sue fortune. Un film rubato alle donne algerine e che non parlava della liberazione attraverso la guerra di indipendenza e la costruzione del Paese. Una donna che guarda ad un’altra donna, un film intimo dove il capo chinato veniva sostituito da un corpo retto, in fuga, in missione. Perché le femministe del Cinémathèque algérienne lo rifiutano? Si tratta di un film autoriflessivo e poetico, qualcosa che una donna nel cuore della rivoluzione non poteva permettersi. Non era stato loro riconosciuto l’onore di aver fronteggiato la lotta d’indipendenza assieme agli uomini. Erano state spietate e coraggiose durante il conflitto tra coloni francesi e indipendentisti algerini guidati dal FLN (Fonte di liberazione nazionale) tra il ’54 e il ’62. I loro ruolo cruciale permise l’esercito di operare su più fronti poiché invisibili e insospettabili alle guardie, qualcosa di cui la stessa Djebar si era resa conto, ma che le donne non volevano ancora intuire. Furono veicoli di esplosivi e attentatrici dalla Casbah sino al centro di Algeri. Ma questo ruolo scomparve con la guerra. Tornarono a essere relegate tra la cultura berbera e l’alleanza oggettiva tra i loro mariti arabi e gli uomini che le colonizzano5.
Assia Djebar, La nouba des femmes du mont Chenoua, Algeria, 1977
Questa triplice alleanza non le tutelava, nonostante non volessero fare la guerra ai loro uomini, erano stati loro a coalizzarsi contro. La scrittrice algerina si posiziona contro di. Contro un sistema patriarcale e politicamente scorretto. Contro un sistema volto alla sottomissione e all’asservimento della donna. Lo stesso codice della famiglia redatto nel 1984 era stato per le donne un traguardo sudato in ventidue anni di lotte, rivelatosi subito però disastroso. Una donna non è stata padrona del suo vestiario, della sua voce, della sua presenza. Non possiede il diritto al divorzio, diverso dal marito, e neppure il diritto alle scelte mediche sui propri figli. Non ha il diritto di ereditare la metà dell’uomo. Il suo apporto al patrimonio è meno di quello dei parenti maschi del marito o del padre deceduto. Nonostante gli enormi cambiamenti storici intervenuti in Algeria, il posto occupato dalla donna, pur avendo subìto mutazioni rilevanti, resta ancora oggi certamente ingabbiato in retaggi culturali ancora difficilmente superabili6, scrive Tamzali. La parola politica, ammutolita e segnata della donna fuoriesce nei romanzi della femminista Djebar come in Lontano da Medina, una raccolta di testimonianze arabe dei primi secoli attraverso le quali estrapola il ricordo delle donne rinchiuse. Il suo lavoro immediatamente incorruttibile ricerca una narrazione tutta femminile nella volontà di guerriere, di sopravvissute assoggettate, ma anche di donne comuni rese fragili da una società misogena che le voleva zitte. La sua produzione letteraria e filmica è una testimonianza delle lotte per l’emancipazione delle mogli, delle figlie e delle nipoti che non hanno un posto nel dibattito, nella piazza centrale del mondo. Il lavoro di Assia Djebar è un movimento continuo, un tumulto di piedi che calpestano il suolo in più direzioni. Una ricerca continua di porte, di finestre da scavalcare e dalle quali urlare con la propria voce, con la propria forza. Le donne che libera attraverso il racconto possono ora riprendere dall’esilio i propri sogni e le proprie ambizioni.
Assia Djebar è stata una scrittrice, poetessa e filmmaker algerina. Nasce nel 1936 a Cherchell, in Algeria. Ha pubblicato libri e saggi femministi come Donne d’Algeri nei loro appartamenti, 1980, L’amore, la guerra, 1985, Ombra sultana, 1987, Lontano da Medina: Figlie d’Ismaele, 1991, Bianco d’Algeria, 1996. Ha diretto La Nouba des femmes du Mont Chenoua, 1977 e La Zerda ou les chants de l’oubli, 1979.
Wassila Tamzali nasce a Béjaïa, in Algeria, nel 1941. È una scrittrice, femminista, giornalista e avvocata. Si occupa dal 1979 del programma dell’UNESCO per i diritti delle donne dei paesi islamici e contro la prostituzione ed il traffico di donne. Ha scritto libri sul cinema magrebino come En attendant Omar Guetlato, 1975; e libri sulla guerra d’indipendenza algerina e sulle donne come Une education algerienne – De la rivolution à la decennie noire, 2007, Une femme en colère, 2009 e Burqa?, 2010.
- Slate, Assia Djebar, gardienne de la langue française ↩︎
- Wassila Tamzali, Une éducation algérienne: De la révolution à la décennie noire, 2007 ↩︎
- Citazione di Assia Djebar in African Women in Cinema blog, Algerian Women in Cinema, Visual Media and Screen Culture ↩︎
- Sabzian, A First Look, Assia Djebar, Wassila Tamzali, 1978 ↩︎
- Denise Brahimi, Femmes Arabes et Soeurs Musulmanes, Paris, Éditions Tierce, 1984 ↩︎
- Wassila Tamzali, Une éducation algérienne: De la révolution à la décennie noire, 2007 ↩︎