Belinda Kazeem-Kamiński. L’archivio in costante riscrittura

Di Alessia D’Introno

everything remains in the eye of the storm

it is quiet, they say but now that

I’m in it

I can assure you

echoes refuse to fade 

they only return to reclaim who was taken

Tratta dalla poesia esposta sulle pareti della Kunst Merano Arte, questa invocazione poetica è il centro pulsante della mostra Aerolectics, prima personale in Italia di Belinda Kazeem-Kamiński. Artista multidisciplinare austriaca di origine nigeriana, Kazeem-Kamiński lavora sulle frizioni tra memoria diasporica, epistemologie afro-diasporiche e strutture coloniali ancora attive nella narrazione occidentale. La sua produzione si fonda su un’interrogazione costante dell’archivio come costruzione del potere: un contenitore vivo, incompleto e violento, che riflette le gerarchie coloniali e razziali su cui si è fondata la modernità europea.

Belinda Kazeem-Kamiński, Aerolectics, 2025. Courtesy the artist. Photo by Ivo Corrà

La sua pratica archivistica diventa un dispositivo critico e riparativo, un atto di immaginazione radicale che destabilizza la fissità della storia dominante. Nelle sue installazioni dà spazio alle lacune, ai silenzi e alle assenze, per evocare una contro-memoria diasporica che sia al tempo stesso personale e collettiva. Aerolectics è parte del progetto espositivo The Invention of Europe: a tricontinental narrative (2024-2027) promosso dai curatori Lucrezia Cippitelli e Simone Frangi. Il titolo della mostra prende ispirazione dal pensiero dell’intellettuale barbadiano Kamau Brathwaite. L’aria diventa elemento politico, spazio di risonanza e metafora di una narrazione non lineare, mobile, che sfugge all’imposizione dell’archivio coloniale e si affida agli echi, ai vuoti, ai ritorni. Come infatti scrive, gli echi si rifiutano di svanire

Il progetto site-specific per la Kunst Merano Arte si muove da una scoperta d’archivio a Brunico dove l’artista ha trovato tracce di tre bambine africane, Asue, Gambra e Schiama, deportate nel 1855 nel convento delle Orsoline di Brunico, comprate in Egitto da missionari con lo scopo di evangelizzazione. Questo episodio, cancellato dalla memoria collettiva, diventa per Kazeem-Kamiński il punto di partenza per una riscrittura della storia a partire dal corpo, dall’assenza fotografica e sonora. Quel che resta sono le sole descrizioni delle suore. Una delle tre bambine in particolare, Asue, che smuove il desiderio di rivendicazione nell’artista, è definita “un ciclone”, una tempesta impulsiva.

Il percorso espositivo si articola su tre livelli espositivi, costruiti secondo gli elementi naturali della cosmologia della popolazione yoruba, dalle quali le tre bambine provengono, — terra, acqua e fuoco. Al primo piano, la terra è protagonista: geografie oscure, materiali rocciosi, mappe. 

Belinda Kazeem-Kamiński, Vermessung. “Von der Landschaft aus”, 2025. Photo by Ivo Corrà
Belinda Kazeem-Kamiński, Rub, Rock, Earth. Throat Clearing, 2025. Photo by Ivo Corrà

Al piano intermedio, l’acqua domina attraverso un video che rievoca il momento cruciale del battesimo. Il piano superiore è dedicato al fuoco, all’ira di Oya, divinità yoruba della vendetta e del fuoco. Qui l’artista elabora più di quaranta statuette rituali in argilla cotta (materiale che racchiude gli elementi narranti della mostra), trafitte da chiodi e con uno specchio incastonato sul petto: icone votive che vengono evocate quando una vita richiede vendetta. 

Belinda Kazeem-Kamiński, Nursery Rhymes. (Holy) Water, 2025. Still

Kazeem-Kamiński estrapola sia memoria sia riparazione, mai narrazione. Impiega l’immaginazione per colmare le lacune lasciate dagli archivi ufficiali, creando alternative che restituiscono voce e dignità a soggetti storicamente silenziati. Questo approccio le permette di affrontare il trauma storico in modo trasformativo, come ad esempio fa attraverso il corpo e il movimento, per raccontare l’assenza documentativa. Come lei stessa dice: non mi interessa rendere visibile l’invisibile, ma capire perché è invisibile.

Belinda Kazeem-Kamiński, Untitled (Lash. Linger. Load Nkisi), 2025. Photo by Ivo Corrà

In linea con il pensiero femminista nero, l’artista non si limita a ricostruire la storia, ma ne interroga le condizioni epistemologiche. Priva di testimonianze dirette, immagina le emozioni delle bambine — rabbia, dolore, spaesamento — senza mediazione paternalistica. Si impegna a evitare la spettacolarizzazione del dolore, cercando invece di creare opere che rispettino e onorino le esperienze delle persone rappresentate. Le sue opere evocano il rumore, i suoni e i ricordi. Come ricorda Audre Lorde: ogni volta che una donna nera consapevole alza la voce su questioni centrali per la sua esistenza, qualcuno la chiamerà stridente, perché non vuole sentirne parlare, e nemmeno noi. Mi rifiuto di essere messa a tacere e mi rifiuto di essere banalizzata, anche se non dico quello che ho da dire perfettamente. Kazeem-Kamiński risponde con una storia che non vuole essere dimenticata, con una “tempesta” che Asue sprigiona attraverso la sua voce e il suo trambusto, arrivando fin ai nostri giorni. Il suo strillo prima banalizzato è giunto nella modernità per essere colto, ascoltato e rivendicato da un’artista che prova ad accoglierlo e comprenderlo. 

Belinda Kazeem-Kamiński, Untitled (Prototype NkisiRepurposed Savings Box), 2025. Photo by Ivo Corrà

Così la rabbia e la frustrazione non sono rimaste inascoltate, ma hanno trovato finalmente il loro posto. Ciò che viene restituito, dunque, non è la figura di Asue in quanto personaggio storico, ma ciò che il suo corpo, la sua resistenza, il suo rifiuto di adattarsi – così come lo riportano gli archivi monastici – ci raccontano di una genealogia nera che ha attraversato anche le montagne altoatesine. La sua “tempestosità” viene accolta e trasformata in forma poetica e politica.

Belinda Kazeem-Kamiński, Collocation No. 1 Bruneck, 2025. Photo by Ivo Corrà

L’artista ci lascia con delle domande che non possiamo ignorare: siamo davvero pronti, come europei e come osservatori situati, a lasciarci attraversare da quella tempesta? Abbiamo il coraggio di mettere in discussione una storia costruita su omissioni, silenzi e discrepanze?


Belinda Kazeem-Kamiński è nata nel 1980 a Vienna, in Austria. È scrittrice, artista e studiosa. Radicata nella teoria femminista nera, ha sviluppato una pratica investigativa basata sulla ricerca e orientata al processo che spesso ha a che fare con gli archivi, in particolare con i vuoti negli archivi e nelle collezioni pubbliche. Intrecciando il documentario con la finzione, le sue opere si manifestano attraverso una varietà di media e sviscerano il presente di un passato coloniale perenne: un passato senza chiusura.

I lavori di Belinda Kazeem-Kamiński sono stati esposti in istituzioni di primo piano, tra cui Galerie für zeitgenössische Kunst Leipzig (2024), Phileas (2024), Camera Austria Graz (2022) e Kunsthalle Wien (2021). L’artista ha anche partecipato a importanti mostre collettive: IMMA Irish Museum of Modern Art (2024), Liverpool Biennale (2023), Art X Lagos (2023), Les Rencontres d’Arles (2022), e Museum der Moderne Salzburg (2021).

La pratica artistica di Belinda Kazeem-Kamiński si è aggiudicata premi internazionali, tra cui Otto Mauer Award (2023), Art X Prize for the African Diaspora (2022), e Camera Austria Award (2021). Le sue opere fanno parte di collezioni internazionali come il mumok | Museum moderner Kunst Stiftung Ludwig Wien, il Belvedere, e il Centre National des Arts Plastiques.

Belinda Kazeem-Kamiński. Aerolectics
A cura di Lucrezia Cippitelli e Simone Frangi

16/03/2025 – 9/06/2025

Merano Arte APS – Via dei Portici 163 – Merano (BZ)

kunstmeranoarte.org

belindakazeem.com

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